CLG§WS+163 Chimismi dialettici

“Egli trasformava la massima iscritta sul frontone del tempio di Delfi, e diceva: “Vivi te stesso””

Marcel Schwob, Vite immaginarie

Talvolta venti anomali, fuori stagione, trasportano, insieme alla pioggia rada e ghiacciata, anche energie oscure, raccolte – chissà dove – lungo il loro tragitto nordico. Questa sottile carica, giunta a destinazione, trasforma lo scenario urbano, degradandolo a cupa, ancorché effervescente, allucinazione primaverile, ricca di dense suggestioni inconsce, che si dispiega secondo un moto circolare, ed in uno spazio curvato. Così accade oggi a Roma all’EUR in Via Montaigne.

Candido: “Che ne pensi? Ti piacciono?” chiede mantenendo lo sguardo verso la parete di fronte, quella del lato terminale del Museo della Memoria, ad angolo con Via Montaigne, dove si trova il grande mosaico delle Corporazioni di Enrico Prampolini.

Cunegonda: Distoglie lo sguardo dall’opera e si volge verso Candido, muta e col viso di marmo, in attesa di trovare le parole. Poi si decide a chiedere a sua volta “E a te piacciono?”

Candido: “Ogni volta che passo di qui mi fermo sempre a rivederli” accenna a commentare esitante. “Non sono solo i mosaici in sé ad attrarmi, ma tutta la scena mi sembra una formidabile installazione. Due opere futuriste, che meriterebbero, da sole, la sala principale di un importante museo cittadino, si fronteggiano, invece, in un parcheggio per impiegati ed avventori distratti, sotto la minaccia, per nemesi storico artistica, di auto e motorini accroccati confusamente, ignorate da tutti; i colori, le linee e il loro dialogo muto, contrastano con la targa sgarrupata, posta dalla Soprintendenza sul muro del Museo, per dare scarne informazioni sulle opere ai rari turisti interessati, e il candore del travertino che riveste i muri dei due musei ne esalta l’effetto complessivo, facendole sembrare opere aliene, abbandonate lì da un astronave in fuga” conclude girandosi verso di lei, che è rimasta ferma. A fissarlo.

Cunegonda: “Questi mosaici li trovi davvero notevoli? Io vedo solo accrocchi futuristi piuttosto indigeribili. Opere di regime” commenta, infine, col tono di chi non vedesse l’ora di dichiararsi, mentre sistema il collo del paletot.

Candido: La guarda con un mezzo sorriso, come se conoscesse in anticipo la sua risposta. “Io invece penso che il Futurismo sia stato un movimento rivoluzionario, e che sia ancor oggi un pilastro della cultura contemporanea, poiché ha innovato e stravolto l’inconscio collettivo, dando vita ad un mondo nuovo, quello della modernità. E’ stata una corrente d’avanguardia in Europa, che si ritrova in tutte le forme espressive del dopoguerra soprattutto design, grafica e anche pubblicità”

Cunegonda: “Poche chiacchiere. La realtà è che mi hai fatto attraversare tutta Roma, con questo tempo schifoso, per questi mosaici inquietanti. Per le opere di artisti guerrafondai senza scrupoli che hanno appoggiato Mussolini e le sue scelte folli?!” sentenzia tra il serio e il faceto.

Candido: Si volta verso il Mosaico di Fortunato Depero delle Arti e Professioni. “Volevo sfidare il tuo manicheismo, il tuo congenito spirito di discriminazione, che favorisci sempre a scapito di quello di distinzione, precludendoti l’esatta comprensione dei fenomeni, poichè è il prupposto per confondere, per semplificare e indursi ad una forma di schieramento che puzza di conformismo” dichiara sorridendo.

Cunegonda: “Non mi ci freghi più” facendo no col ditino.

Candido: Ride. “Guardi Collega che non mi sembra proprio che io la trascini in catene in queste avventure. E poi ti è andata bene. Per pranzare insieme, inizialmente, avevo pensato a Piazza San Giovanni Bosco” sottolinea ridendo mentre continua ad osservare il Mosaico.

Cunegonda: “Piazza San Giovanni Bosco!? E dov’è? Ma soprattutto. Perchè?”

Candido: “Oh eccola la giovane progressista italiana che disquisisce sempre e volentieri di popolo e periferie ma non sa neanche dove siano” replica ridacchiando. “E’ al Quadraro, al Tuscolano” aggiunge con un mezzo sorrisetto ironico.

Cunegonda: “Ah. Ho capito” Replica distratta poi riprende “E perchè proprio lì? Come ci sei finito? Per sbaglio o in veste di antropologo urbano? ” chiede con aria fiera della sua ritrovata vena sarcastica.

Candido: “No, non hai capito. È dopo Porta Furba, al Mandrione. Ma parecchio dopo. Sono le zone care al tuo amato Pasolini. C’è la Basilica lì – che io trovo agghiacciante, ma da vedere tuttavia – e anche la casa di Steiner l’amico di Marcello ne “La dolce vita” soggiunge soddisfatto.

Cunegonda: “Quello che stermina i figli e poi s’ammazza?”

Candido: “Si. Brava” Conferma mentre continua ad osservare i mosaici.

Cunego: “Tu stai male … Sei andato a vedere dove hanno girato la scena? ” chiede incredula.

Candido: Ride. “Si. Cioè. Anche. Il portone del palazzo. La casa invece nel film era ricostruita in Teatro. Credo. Ma si capisce che è all’EUR”.

Cunegonda: “Beato te che puoi permetterti simili diversivi. Peccato che io invece la-vo-ro e tra poco dovrò essere di nuovo in studio. Mangiamo o c’è qualche altra attrazione da visitare? ” si lamenta a braccia conserte.

Candido: “Va bene andiamo. Più avanti c’è un susharo abbastanza decente” dice mettendosi in marcia. Poi riprende “Premesso che tutti lavorano, mi spiace che tu non abbia ancora sviluppato una sana capacità di ingannarti, di mollare il tuo disegnatore, di saltare dal treno mentre rallenta la sua corsa, in qualche curva più stretta, senza pensare troppo alle conseguenze, per poi inoltrarti in un altrove sconosciuto. Insomma, scomparire improvvisamente, senza avvertire nessuno, anche per poco, forse anche solo pochi minuti, e riapparire in uno dei tanti universi paralleli che ci sembrano sempre inaccessibili, imperscrutabili e rendersi conto che sono sempre stati disponibili essendo sufficiente la volontà di sfidare la grande onda contraria e apparire a sé stessi o alla Madonna come diceva Carmelo Bene”

Cunegonda: “Ah ora sei in modalità Jedi. Bene sono pronta. Allora facciamo un patto, ora si fa la pappa e non si litiga, vero?” chiude sorridendo e prendendogli il braccio.

Candido: “Non ti preoccupare, farò il bravo. E poi. Non so. Forse a spingermi qui è solo il solito senso di mancanza e il vano desiderio di recuperare cianfrusaglie sparse nella mente che seguo come tracce in montagna: una nottata con gli amici, tutti insieme in macchina, felici a caccia di una festa mai raggiunta, persi tra piazze, numeri civici, vie dai nomi oceanici, ed indicazioni sballate. Un pranzo con i miei e tutti i loro amici in un ristorante che non esiste neanche più, un appuntamento per andare al mare, la finale di basket nel 1983 e il concerto dei Simple Minds al Palaeur nel 1987, la vecchia Fiera di Roma e la sua mostra natalizia. Ma c’è anche quel sospetto, quella inconfessabile sensazione, che tutto questo sia ancora qui, da qualche parte, intatto, pronto per essere rivissuto, tabula rasa, sapendo inconsciamente che forse, esaminando bene queste lastre di travertino, frugando a tastoni, si riesca ad individuare un bottone, un pulsante nascosto, una finta mattonella che, una volta azionata, apra una porta, oltre la quale ritrovare tutto e tutti. Così com’era. Così com’ero. Anzi così com’è” proferisce con tono basso. Poi si ferma e osserva l’entrata del ristorante. “Eccoci arrivati” con lo sguardo spento.

Entrano e scelgono un tavolo davanti ad una vetrata che da sul palazzo dei Congressi.

Candido: Si guarda intorno.”Oddio. Sai che io di questi ritagli di pesce crudo comincio veramente ad averne piene le xxx?”

Cunegonda: “Non cominciare!” lo blocca lei come farebbe con un bambino insofferente. Riprende a consultare il menu. “Belli i tuoi salti spazio – temporali, molto affascinanti. Peccato che io non possa permettermeli. Ma ti sei mai chiesto quanto ti costano? Quanto valgono queste tue forme di autoipnosi? Quanto ti emarginano dagli altri? Io ci farei una riflessione sai”.

Candido: “Costano quello che costano” risponde con sguardo inerte.

Cunegonda: ” Non ti sembra di stare scherzando col fuoco e che la solitudine che ami tanto ti stia trascinando a fondo? ” Chiede col tono materno, caratterizzato da una metrica ben riconoscibile.

Candido: “Assolutamente si. Non al fondo, all’Inferno. Specialmente quando mi sveglio, al mattino, e i rumori di casa, quelli di un tempo, non ci sono più, e regna il silenzio. Eppure, mi sembra più sopportabile dell’aria sulfurea che percepisco in certe case, dell’urlo spento in gola che leggo negli occhi di certe coppie, simili a quelli delle marionette indonesiane del teatro delle ombre gli stessi con i quali guardano i loro figli, ovvero per verificare continuamente quanta parte della loro incapacità di sviluppare anche solo un barlume di intelligenza emotiva siano stati in grado di trasfondere, efficacemente, in loro, privandoli di una possibilità di difesa, di una presa di rifugio. Se gli scoprissi le pance, all’improvviso, mentre sono allungati sul divano, col calice di bollicine rosè in mano, intenti a mostrarsi accreditati al mondo dei pochi felici, mostrerebbero un addome pieno di bubboni infiammati che compongono la parola, ben leggibile, “AIUTO”” soffia demoniaco mentre versa nei bicchieri la birra. Cervogia tiepida.

Cunegonda: “Ecco lo sapevo” osserva mentre afferra il bicchiere “Ora ti riconosco! Ora si. Lo sfilettatore di esseri umani è tornato si salvi chi può!” dice con tono ironico.

Candido: “Io non li giudico li osservo. Sono quasi vecchi, e tutt’altro che saggi, anzi intorpiditi, rallentati in tutto dal terrore della morte, afflitti dallo scenario di una vita volata via troppo presto e non confortati neanche dalla promozione che padri e madri gli hanno riconosciuto, pre mortem, per la vita che hanno scelto. Gli uomini per i succesi lavorativi, le case acquistate e i livelli di reddito e le donne per la scelta del marito, i nipotini partoriti e il lavoro conservato. Anzi. Quelle promozioni ora gli sembrano una beffa e non sanno come disinnescarle”

Cunegonda: “Ah bene. Pensa cosa diresti se invece giudicassi …” commenta scuotendo la testa

Candido: “Siamo fermi alla denuncia di Jung. Ancora oggi, dell’essere umano non sappiamo nulla. E mai come in questo momento, invece, avremmo bisogno di un segno, di una nuova era, di una rinascita. Il personaggio di Steiner ne “La dolce vita” era un triste vaticinio, il presagio di una crisi galoppante che presto sarebbe diventata drammaticamente irrisolvibile in tutto l’occidente decristianizzato. Senza il recupero della sua anima l’uomo è perduto. Basta vedere le immagini che ci arrivano sul cellulare, tutti i giorni da tutto il mondo, un indegno bagno di sangue che ci illudiamo non abbia troppo a che fare con noi. La nostra società sta facendo esattamente gli stessi errori commessi sessanta anni fa. Aspettare che il sangue smetta scorrere, almeno per un po almeno non così vicino a noi, per poi riprendere serenamente a coltivare la ricerca di una realizzazione ed una falsa individuazione dei singoli per mezzo di ció che possono comprare, per apparire quello che non sono, secondo i canoni della ricerca della felicità che l’America impone” osserva mentre trangugia l’insalatina di apertura con l’edamame.

Cunegonda: “E cosa pretenderesti da loro?”

Candido: “Cosa vuoi che pretenda, nulla. Basterebbe poco però. Il coraggio del silenzio, quel tanto che gli consenta di dimettersi da sè stessi ed essere d’accordo con tutto, con qualunque condizione di mare e di tempo e regolare le vele a seconda dell’andatura richiesta. Distogliere lo sguardo dalle illusioni, dagli archetipi cui le persone si aggrappano disperatamente,fino alle estreme conseguenze, ed interrompere il karma di famiglia e quello delle varie tribù metropolitane in base alle quali giudicano sé stessi e gli altri, generate in base a lignaggi inesistenti, e disporsi ad offrire agli altri solo la parte migliore di se stessi, quella più vera e generosa. Non c’è molto tempo rimasto”

Cunegonda: “E secondo te la strada che hai scelto è questa? L’isolamento?” dice contenta di rintuzzarlo.

Candido: “Finché non vedrò individui disposti ad aderire alla realtà, certamente si. Potrei usare le parole di Steiner rivolte a Marcello nel dialogo nella terrazza della sua bella casa “Non credere che la salvezza sia chiudersi in casa. Non fare come me Marcello. Io sono troppo serio per essere un dilettante ma non abbastanza per essere un professionista. È meglio la vita più miserabile, credimi, che un’esistenza protetta da una società organizzata, in cui tutto sia previsto, tutto perfetto”

Cunegonda: “Oh fantastico. Il lascito etico di uno che ammazza sè stesso e i figli. Ti è chiaro? Vuoi dirmi che è questo ti auguri?” Osserva con lieve ansia.

Candido: “Steiner è una provocazione intellettuale, un monito ad una società che a quindici anni dalla fine della guerra era già tornata a commettere gli stessi errori che l’hanno provocata. Comunque, se sei davvero interessata alla mia fine, ora ti accontento” annuncia deciso posando il bicchiere e prelevando dalla tasca interna della giacca il telefono.

Cunegonda: “Oddio. Che sta per succedere? Una citazione di Nietsche? O di D’Annunzio? O qualche maestro Zen?”

Candido: “Consulto l’I Ching” mentre digita qualcosa sullo schermo.

Cunegonda: “Ah ecco. E che è? Oddio mio… ” dice sgranando gli occhi.

Candido: “Un antichissimo oracolo cinese”

Cunegonda: “Fammi vedere” Improvvisamente ed inspiegabilmente curiosa.

Candido: “Lanci delle monete bucate, in questo caso virtuali, per sei volte, e dall’esito si trae un esagramma, uno dei sesantaquattro commentati dal Libro dei mutamenti. Lì troverai le risposte”

Cunegonda: “E cosa vuoi chiedere ora?” chiede confusa.

Candido: “Non hai detto che vuoi sapere che fine farò? Vediamo allora…”

Seguono sei brevi vibrazioni del cellulare.

Candido: “Pronta?” chiede con gli occhi sullo schermo.

Cunegonda: “Che ne so … Si” risponde intimidita

Candido: “Esagramma 22 Ppi sopra Kenn, l’ Arresto, il Monte sotto Li, il Risaltante, il Fuoco. Il segno mostra un fuoco che erompe dalle misteriose profondità della terra e divampando illumina il monte, l’altitudine celeste, e lo abbellisce. La bellezza, la bella forma, è necessaria in ogni unione onde questa sia ordinata e leggiadra e non caotica e disordinata. La Sentenza: Bellezza ha riuscita. In piccolo è propizio imprendere qualche cosa

Cunegonda: “Non capisco. Ma suona bene” dice quasi gelosa spiegando i begli occhi, virati, in un attimo, verso il colore del mare calmo.

Exeunt

Blue note

I pensieri compaiono, ora, solo per qualche breve istante, per dissolversi subito, come fiocchi di neve che, cadendo, toccano la superficie di uno specchio d’acqua immobile. La luce del crepuscolo che arriva dalle grandi finestre della palestra, attenuandosi, lascia sempre più spazio ai bagliori intermittenti di un addobbo natalizio – montato su un albero in giardino – e gli ultimi secondi di zazen scorrono fluidi, al ritmo del respiro, che lascia ormai andare tutto. O quasi. Alla mente si manifestano, ora, solo pure sensazioni o fotogrammi passati: un tratto di strada di montagna percorso in macchina, nel silenzio di un altipiano innevato, fendendo una nebbia fitta ed abbagliante, la giusta risposta a una domanda in un dialogo lontano, un orologio perso, l’odore di cloro sulla pelle, le vaghe impressioni di un sogno notturno. Il dolore a gambe e ginocchia che si fa sempre più forte.
Poi qualcuno spalanca la porta della palestra facendolo sobbalzare.
Eco: “Oddio è lei mi scusi!” quasi urlando.
Candido “No, no. Non si preoccupi. Anzi sono io fuori posto. Ho nuotato un pò in piscina e, rientrando, mi sono fermato qui, ma ho finito. Avete lezione?” chiede alquanto frastornato.
Eco: “ Si fra poco c’è lo stage di Jorge di bachata. Si balla!” richiudendo, sorridente, la porta.
Candido: “Scappo” mentre comincia a sciogliere le gambe troppo a lungo incrociate.
Eco: “Ma no faccia con calma c’è tempo!” soggiunge avvicinandosi. “Allora lei non passa solo ore giocando a tennis, sulla cyclette o in piscina? Cos’è che faceva? Yoga?”
Candido: “Si… Insomma. Non è proprio yoga. E’ meditazione seduta. Si chiama zazen” osserva ancora stordito.
Eco: “E su cosa meditava?”
Candido ride.
Eco: “Perchè ride?”
Candido: “Scusi ma è la classica domanda che fanno tutti” massaggiandosi piedi e ginocchia
Eco: “Ho sbagliato? Torno indietro di due caselle?” sorridendo e sfilando il giaccone.
Candido: “No, no assolutamente. Senta sia gentile mi accenda la luce così non mi guarda mentre tento di rialzarmi. Sono un filo spinato vivente” sempre ridendo.
La luce bianca delle lampade a led si accende improvvisa spazzando via tutto, lasciando indenne solo la bellezza di Eco, il cui viso splende ora in quel bagliore accecante, mentre Candido tenta di allungarsi il più rapidamente possibile. Nel mentre, osserva stupito quella Ava Gardner nostrana, sbucata dal nulla, inguainata in un una tuta da ballo nera, aderente, che disegna un corpo esuberante e sinuoso, acceso da occhi verdi intensi, molto truccati.
Eco: “Ma quanto è rimasto seduto?” chiede mentre ripone la sacca sulla panca all’entrata.
Candido: “Mezz’ora, non tanto” ora in piedi ancorché dolente.
Eco: “Non tanto? Non credo che resisterei più di due minuti seduta così!” scuotendo la testa.
Candido: “Chissà, non è detto. Potrebbe riuscirle facile. Di sicuro è più sciolta di me. Poi è sufficiente smettere di pensare e fare attenzione al respiro” mentre ruota il collo, come per scioglierlo.
Eco: “Però se me da del lei io me deprimo, glielo dico” osserva ridendo ed armeggiando con un elastico per capelli.
Candido: “Hai ragione. Allora anche tu però”.
Eco: “Bravo. Ma se non pensi a qualcosa che fai quando mediti?” legando i capelli.
Candido: “Si interrompe il dialogo interiore e si osserva quello che succede intorno: il respiro, i piccoli rumori, le sensazioni del corpo, i battiti del cuore … Le visite improvvise”
Eco: “Non potrei. No proprio non potrei. Io me devo move, devo agitarmi, per questo ballo. E poi perché? A che serve?” mentre sistema i fuseaux.
Candido: “Mah, direi che fa bene alla salute. Fa vivere meglio, da un benessere duraturo, costante. Ha effetti benefici sulla funzione cardio circolatoria, sulla pressione, sul sistema nervoso para simpatico, sui reni e il fegato. Eccetera eccetera. Ma soprattutto aiuta a non sbriciolarsi” mentre rinfila le ciabatte.
Eco: “In che senso sbriciolarsi?” mentre, col viso reclinato su un lato, fa distendere i bei capelli neri, pettinandoli con le dita.
Candido: “Hai presente, nei cartoni animati, quando Vilcoyote cade da uno strapiombo inseguendo lo struzzo e, picchiando a terra, prima si incrina tutto e poi si sbriciola in tanti pezzi?”
Eco: “E chi è Vilcoyote?” sgranando gli occhi.
Candido “Certo. Che scemo. Sei troppo giovane …” osserva deluso
Eco: “Comunque ho capito che voi dì. Quando si crepano tutti dopo na’ botta. Tipo na’ mazzata in testa” ridendo.
Candido: “Esatto. Ecco zazen serve a non farsi troppo male. Vivendo voglio dire” mentre ripone la maglia nella sacca
Eco: “Ah. Ok. Si forse ho capito. Diciamo, allora, che io, modestamente, mi sbriciolo spesso. Forse troppo spesso. Però per rimontare i pezzi io uso la musica. E poi ballo” accennando un passo.
Candido: “Hai ragione. Anche a me spesso la musica rimette a posto i pezzettoni. E cosa ascolti?”
Eco: “Ed Sheeran, oppure i Muse, Sia, Drake, Ariana. Boh un po tutto. Anche Jovanotti. E lei? Anzi tu scusa?” mentre ripone il cellulare nella borsa.
Candido: “No non te lo dico se no poi mi sfotti. Ma come ascolti questa musica e poi balli la bachata?” chiede ridendo mentre infila una felpa.
Eco: “Anche salsa, merengue tango e portoricana se è per questo. Ma non c’entra è diverso. Ballare è un’altra cosa. Dai giuro che non ti sfotto. Che ascolti?”
Candido: “Mah, intanto, deve esserci un bel sole grande, pomeridiano, tiepido. Poi ci deve essere l’acqua, intesa come mare, lago o piscina. E un bel cielo azzurro, meglio se con tante innocenti nuvolette che disegnano strane figure da inseguire.”
Eco: “E vabbè e fino a qui siamo d’accordo. Poi?”
Candido: “Un posto fresco dove sdraiarmi?” ammiccando.
Eco: “Daje” commenta lei sorridendo.
Candido: “Poi la musica di sempre, gli Steely Dan, Bill Evans, Pat Metheny, Miles Davis … Chet Baker, Ella Fitzgerald. Per dirne solo alcuni … Completo l’opera di sabotaggio di questa conversazione aggiungendo alla lista Vivaldi, Boccherini, Cimarosa, Bach, Haendel … Schubert … Basta” sollevando la sacca.
Eco: “E sei un sabotatore coi fiocchi! Non ne conosco manco uno …” sgranando gli occhi e mimando la smorfia di un imbarazzo caricaturale che non nasconde l’ironia.
Candido: “Ecco lo sapevo. Però ti invidio devi ancora scoprirli e sarebbe una sorpresa. Non so perchè ma sento che questa roba da nerd potrebbe piacerti molto. Con la loro musica vengono bene tante di quelle cose che neanche ti immagini. E non solamente guidare di notte. Poi quello che conta è l’effetto finale no?”
Eco: “E secondo te qual è l’effetto che deve avere?” aggiustando le bretelle del body.
Candido: “Non so. Tra i più ingenui metterei una stabile voglia di partire, forse. Saltare su una macchina, una moto, un treno o una bici e andare via. Per andare ovunque, col cuore leggero, aspettandosi però tanto, tante cose. Tante sorprese”. Le sorride. “L’effetto principale della musica, del resto, è togliere tutto ciò che non serve. Anche l’ego di chi la ascolta. Forse è per questo che fa stare bene due persone. Le unisce in una dimensione diversa, più vera, dove tutto è più naturale, una terra di nessuno sconosciuta e misteriosa. Il vero segreto del ballo no?”
Eco: “Bravo si. Hai ragione. Forse questo che hai detto descrive bene l’effetto che mi fa. L’idea che ce la posso fare. Anzi Che je la posso fà! Che posso tornare ad avere una vita. In questo momento mi basterebbe riuscire a mettere tutto e tutti da parte e avere una vita. Ecco. Tutto qui. Una vita normale. Alla felicità potrei pensarci anche in un altro momento” aggiunge con tono più basso ma sorridente mentre infila una felpa.
Candido: “Con la musica però il problema è che poi finisce. E si sa che quando la musica finisce gli amici se ne vanno e ti ritrovi ad affrontare una inutile serata”.
Eco: “Già proprio così” aggiunge lei mentre si gira a controllare viso e capelli nel grande specchio alle loro spalle.
Candido la osserva ora dallo specchio.
Candido: “Se posso, cos’è che ti sbriciola? … Tanto da avere bisogno di stare fuori dai giochi, sola con la tua musica?”
Eco: “Tante cose che non vanno come vorrei, come mi aspettavo che sarebbero andate. E c’è ben poco da fare ora. Compresa la mia pupetta, che da qualche tempo mi fa stare molto preoccupata” aggiunge lei guardandolo negli occhi, improvvisamente cupa, attraverso lo specchio.
“Capisco” riesce a dire Candido, sapendo di essere ai limiti di una zona rossa nella quale preferisce non entrare.
Eco: “E questa meditazione seduta, invece, come funziona a che serve?” imitando, di nuovo sorridente, il tono di una specie di giornalista televisiva.
Candido: “Intanto, al contrario della musica, i suoi benefici continuano nel tempo,dopo che è terminata, non si esauriscono con la pratica. E poi in realtà è un meccanismo semplice. La consapevolezza dei propri stati d’animo cosituisce, da sola, la medicina che aiuta a disinfettare tutto. Come guardarsi in uno specchio fedele, che non nasconda nulla. Questa consapevolezza del disagio “cuoce” le emozioni negative e le per disattiva o le attenua almeno, naturalmente, riconoscendole.
Eco: “Cuocerle?” continuando a guardarlo tramite lo specchio.
Candido: “Si. Accettarle col corpo e la parte più profonda di sè e digerirle. Disinnescarle invece di combatterle. Esiste una via diversa per gestire paura, rabbia, risentimento, tristezza, nostalgia.”
Eco: “Non capisco” mentre estrae dalla sacca le scarpe da ballo.
Candido: “Stare in silenzio ed osservare queste emozioni, abbracciarle, sentire come si sono trasferite nel nostro corpo e quali effetti permanenti su di esso hanno generato nel tempo. Seduti, accogliamo tutto così com’è. Il silenzio della mente quindi è come il coperchio di una pentola dove questi sentimenti cuociono, appunto, al calore della consapevolezza che, nel tempo, ci restituisce il sapore della libertà. Sedendoti tutti i giorni, potresti accorgerti, un giorno, che le emozioni negative, pur non sparendo, non ti tiranneggiano, non ti incrinano più, non ti sbriciolano più. Anzi, potresti ritrovarti a sentire che le pieghe del cuore, quelle che ti accompagnano da sempre, anche nei momenti più piacevoli della tua vita, si sono distese, come per opera di un vento amico, che gonfia la tua vela per farti attraversare un nuovo tratto di mare, anche lungo, con acque sconosciute e minacciose. Anche per questo, misteriosamente bello”
Eco: “Cavoli … Sembra impossibile sinceramente. Ma detta così è bella. Suona bene. Sembra vero …” ora triste.
Candido: “Eppure succede” piegando gli altri suoi panni bagnati.
Eco: “Posso provare un giorno con te? Io se vuoi ti insegno qualche passo di bachata. Dai. Così muovi ste’ gambette che secondo me hanno bisogno di far circolare molto il sangue” ride.
Candido ride fuori controllo, mentre continua ad accennare esercizi di allungamento delle gambe.
Eco: “Allora ci stai?” sorridendo e con aria di sfida scherzosa.
Candido: “Va bene. Come potrei dire di no”
Eco: “Grande! Dammi il cinque!” alzando la mano destra.
Candido batte timidamente il palmo della sua mano.
Candido: “Allora ci vediamo su questi schermi”.
Eco: “Certo. Non mi dare buca eh!” guardandolo di traverso
Candido: “Non posso certo. Anche se hai già distrutto buona parte della mia pratica” aggiunge raccogliendo la sacca ed avviandosi verso l’uscita della palestra.
Eco: “Perchè?”
Candido esita a rispondere, sino a quando la vocina interiore da un via libera condizionato.
Candido: “Se devo descrivere una sensazione di felicità, mi viene subito in mente l’immagine di una donna sconosciuta che mi si siede accanto, senza alcun motivo.”

EXEUNT

Magnificat

Candido: “Ho sempre avuto l’impressione che necessitasse di un restauro. I colori mi sono sempre sembrati incerti e privi dei contrasti originali. Ma quando passo davanti a S. Lorenzo in Lucina entro quasi sempre in chiesa e mi fermo ad osservarlo” dice a bassa voce mentre, lentamente, siede su una panca, prossima all’altare.
Mirra: “Chi è il pittore?” chiede lei sedendosi accanto.
Candido: “Guido Reni”
Mirra: “E che cosa ti colpisce in particolare?”
Candido “Mah. Il vigore, la luce e lo sguardo doloroso del Cristo, mentre rimette lo spirito nelle mani del Padre, e il mondo, alle sue spalle, è già nel buio, è già entrato nel tempo in cui sarà senza di lui. Non è un Cristo annientato e vinto; qui, pur esanime, sembra prepararsi già al trionfo sulla morte e a condurre gli uomini alla salvezza perché, come tanti pecoroni smarriti, non sono stati capaci di distinguere il bene dal male e a salvarsi da soli, obbedendo alle leggi di Dio, così chiare, così semplici.” Si gira a guardarla.
Mirra: “Scusa ma il tuo Buddismo, Taoismo, Induismo. Lo zazen, il Chi Qong, il Tai Chi … Come si coniugano con questo tuo … Mah … slancio cattolico? sussurra lei con un mezzo sorriso ironico.
Candido: “Una volta sono stato a cena con un principone nero romano, suo padre e parte della corte sopravvissuta. Nel breve tragitto, a piedi, da Piazza Venezia fino a Fontana di Trevi, dove era il ristorante, si fermò in tutte le chiese che incontravamo. Si scusava, superava rapidamente la porta, si segnava, dopo aver bagnato la mano nell’acquasantiera, e si genufletteva. Poi usciva subito. Mi sembrò un rito strano, esibizionistico, un vezzo papalino. Invece negli anni mi sono sorpreso a fare anche io la stessa cosa”
Mirra: “E perchè?”
Candido: “Mi gratifica. Entrando in molte chiesa di Roma mi si spiega davanti agli occhi, in pochi secondi, un sistema di storie, opere e capolavori dell’uomo in cerca Dio che mi coinvolge completamente, nell’inconscio e nei sensi.”
Mirra: “Ah ho capito la visita turistica con suggestioni mistiche” soggiunge lei sollevando gli occhi, che hanno ora assunto i toni più scuri dell’ambra, e scrutano il soffitto decorato.
Candido: “Si, sono risucchiato dalle vetrate, dalle scene della vita dei santi e dei martiri, dagli altari, e da tutti quegli strati di vita, cultura ed arte, depositatisi nei secoli, che fanno di una chiesa un organo della città. Ma la parte che preferisco, tuttavia, è la commedia umana che vi si rappresenta. Le pie donne, anziane, timorose e decise, che, a sera, recitano il rosario; la fretta dell’anziano sagrestano che corre veloce, da un lato all’altro del tempio, badando, affannato, alle mille cose da fare; il parroco che appare sempre all’improvviso in modo tanto, apparentemente, spontaneo quanto teatrale, per verificare che tutto sia pronto per la messa; il turista intimidito, con i pacchi in mano e la fotocamera che ciondola dal collo; i bambini che sghignazzano incoscienti e scorazzano ovunque. Le persone in chiesa mi sembrano sempre personaggi fuggiti dal presepe, dopo aver preso vita improvvisamente”.
Mirra: “Comunque è vero. Il tempo nelle chiese è sempre un po sospeso. Rarefatto.” mentre continua a scrutare iscrizioni, dipinti, sacelli.
Candido: “Visito anche le chiese moderne. Quelle di cemento armato, fredde e spoglie, come garage, il frutto di progetti troppo spesso falliti. Mi immergo in quella sacralità metropolitana, scarna e distratta, testimoniata da brutte vetrate colorate, cristi postmoderni, piante finte, lumini elettrici, luci al neon e colori stonati sulle pareti. Lì prevale l’umanità. L’odore di brodo che arriva dal refettorio dell’asilo limitrofo, le suore indaffarate, i cori dei bambini al catechismo, le piatte e raggelanti comunicazioni delle morti e delle nascite affisse sulla bacheca di legno all’entrata. Penso sempre che una chiesa che si rispetti dovrebbe comunicare anche le resurrezioni!” ride sommessamente
Mirra: “Uno dei tuoi acquari insomma” osserva mentre tenta di inquadrarlo col cellulare per scattare una foto.
Candido: “Proprio no. Davanti a questo Crocefisso ho sempre chiesto qualcosa. Far tornare un amore, la serenità, successo nel lavoro. Ora chiedo solo perdono, a chiunque sia in ascolto. E ringrazio. Con l’occasione chiedo anche salute”.
Mirra: “Ma scusa allora sei un credente?” domanda lei mentre verifica l’esito dei suoi scatti.
Candido: “No . Non in senso tecnico. No. Voglio dire … Il concetto è “scherza coi fanti e lascia stare i santi” ridendo sommessamente.
Mirra: “Che ridi scemo! Pensavo fossi serio invece cazzeggi sempre!” aggiunge sorridendo mentre spegne il cellulare.
Candido: “Insomma. Credo che non ci si debba sottrarre allo sviluppo di una intelligenza spirituale, che ci guidi verso una mera disponibilità ad ascoltare, ad avvertire i segnali e i messaggi di uno sconosciuto imperatore, quasi sempre indecifrabili. Finché con l’ascolto non si giunge alla questione fondamentale ovvero la necessità di abbandonare il sé. E li cascano quasi tutti gli asini.”
Mirra sorride intimidita.
Candido: “Natura umana e rito sono inscindibilmente legati. Non possiamo prescinderne. Se vuoi tutto è rito. Non trovo differenze tra offrire una ciotola di frutti e un bastoncino di incenso alla statua di Shiva e portare qualche fiore fresco ad una Madonnina ignorata, chiusa in una veccia edicola, posta al bivio tra due vicoli. Così anche gli omaggi dei monaci novizi ai maestri zen mi sembra che condividano la stessa natura di altri gesti rituali, come cedere il posto nella fila, allo sportello di un ufficio pubblico, ad una anziana suora. Anche la recitazione del rosario e la ripetizione di un mantra assolvono, secondo me, allo stesso scopo, ovvero silenziare la mente ed aprirla ad altro. Ed è anche il modo migliore, sinora scoperto dall’uomo, per liberare le sue energie migliori, quelle più nascoste, forse proprio per custodirle inconsciamente, e non sprecarle in modi meno benefici. E questi gesti li sento sempre più necessari ora che, superata la linea d’ombra, i sogni notturni impestano i miei stati d’animo ben oltre il mio risveglio, i continui bilanci mi levano il sonno, e “il cane nero alle mie spalle” non smette di seguirmi, perché credo che mi aiutino a raggiungere qualche breve, transitoria ma autentica redenzione. Credo siano la fonte di quella strana felicità che mi prende la sera, quando inforco il motorino e ritrovo inaspettatamente la voglia di ridere imitando un amico, un cliente, una malafemmina o storpiando una canzone pubblicitaria o inventandone una senza senso. O quando un impegno mi porta in un quartiere dove non vado da tanti anni, consentendomi di vedere luoghi mutati, facce sconosciute, mode, vestiti, palazzi e balconi da osservare, botteghe esotiche in cui curiosare, cercare dischi di vinile, portafortuna, e popoli e razze nel loro quotidiano. Del resto, non saprei come spiegare altrimenti questa euforia improvvisa, leggera e inafferrabile, questo vento fresco, del tutto inaspettato, che riappare come un amico perduto che torna e che speri non ti abbandonerà mai, anche quando non ci sarà più nulla da fare. E questo è un koan”.
Mirra: “Cos’è un koan?”
Candido: “Un indovinello senza soluzione”.
Mirra: “Non capisco”.
Candido “Sono tecniche dello Zen Rinzai con le quali si cerca di far naufragare il pensiero razionale favorendo quello intuitivo, la parte più profonda e unica del nostro sè. A seconda della risposta che dai, il maestro valuta il tuo grado di illuminazione”.
Mirra: “Come?”
Candido: “Ne vuoi sentire qualcuno?”
Mirra: “Si dai!”
Candido: ”Qual è il suono di una sola mano che applaude?
Mirra: “Ma …”
Candido: “Il cane ha la natura di Buddha?”
Mirra: “Aspetta …”
Candido: “Prima che sorga la mente, dove sono le cose?”
Mirra: “Smettila!” e ride.
Candido: “E, come chiedeva sempre, da ragazzi, er Sor Edmondo appena seduti al tavolo della sua osteria: bianco o rosso?”
Mirra ride con la mano davanti alla bocca.
Candido “E poi. E’ lecito per un uomo non riuscire a staccarsi neanche un istante dagli occhi di una donna gargantuescamente più giovane?”
Mirra: “La so! La so! Sono illuminata! Andiamo a prendere il motorino!” urla ridendo e tirandolo con la mano fuori dalla chiesa.
EXEUNT

Enteogenesi a due ruote

“Zoppichi e sei pieno di dolori”
“E’ vero”
“Non credi sia ora di comprarti una macchina?”
“Non ci riesco”
“Che vuol dire non ci riesco?”
“Non riesco.Vorrei, Ma non … non mi va. Non posso … Credo …”
“Io non capisco. Non ti capisco.”
“Non so. Potrei dirti che è comodo, che non sopporto quelle file interminabili, gli sguardi minacciosi, le ore alla ricerca del posto, la macchina come decadente “casetta”, arredata, all’interno, con oggettini che dovrebbero esprimere la mia personalità, in un pulsare di ricordi e avventure passate, e, comunque, sempre col pacchetto di preservativi nel cassettino del cruscotto.
Ma in realtà credo di non riuscire a sottrarmi a quella dimensione sciamanica che mi accoglie ogni volta che salgo sulla moto. Parte tutto dal freddo, dai brividi che mi prendono quando metto i piedi sul pianale e comincio a viaggiare in città, a fine giornata, di notte, o sotto la pioggia. Quei brividi di freddo lentamente traggono linfa dall’inconscio, dal mosto acido dove mi fermenta contnuamente una cupa ansia, dello stesso colore del cielo che in quel momento c’è su Roma. Così riemerge un io dimenticato, quello che durante le lezioni di greco, a scuola, faceva decine di barchette di carta, e che smetteva solo quando la professoressa spazientita, interrompeva la lezione e chiedeva “Ma tutte uguali le fai?”. Poi ci sono le luci, le facce di quelli che gesticolano come matti ottocenteschi mentre parlano al vivavoce, i fumatori assorti nell’abitacolo, quelli che hanno fretta e ti sorpassano, con virile sicurezza, perchè non hanno tempo da perdere. Poi le ragazze, quelle belle, oppure le gessiche parruccate. E in breve comincio a cantare. Sono canzoni senza senso, inventate, a volte su una melodia conosciuta, a volte su standard melodici anni settanta. Qualcosa tipo Baglioni o Venditti. Sono canzoni oscene, coprolaliche nelle quali le storie nascono a servizio della rima, usando parole sparse nell’inconscio, cognomi di colleghi, amici di parenti, urlate sui rettifili liberi o a mezza voce nel traffico paralizzato. Sono liriche da sindrome di Tourette che cantano soprattutto di donne, ex fidanzate le cui peripezie melodiche terminano immancabilmente con l’Illuminazione che sopraggiunge loro a seguito di un rapporto anale finale indesiderato, ma proprio per questo liberatorio, riparatorio, esemplare, gratificante.”
“Ma che stai dicendo?”
“Io non so spiegartelo, ma dopo sto meglio. E’ un po’ come per quei souvenir delle bancarelle, quelle sfere di cristallo che, agitate, fanno nevicare su San Pietro. Il freddo agita la neve della mia testa e anche io divento un Colosseo sul quale ricadono fiocchi fatti di vecchi dialoghi, di problemi di lavoro, di televendite, di cognomi di politici stranieri, e fidanzate.
“Tu stai male …”
“Si credo di si. Però … Ecco… Dopo aver cantato, a volte sento che la morsa allo stomaco si allenta un po’. E allora mi sembra divertente osservare le persone con affetto, fissarle amichevolmente per vedere se, a un semaforo rosso, c’è modo di ridere insieme, di scambiare una battuta, di smadonnare solidali contro una pioggerellina fastidiosa che ti inzuppa da ore … Non so. Credo di andare ancora in motorino perchè è l’ultimo luogo mentale dove mi sembra ancora possibile raccontare agli altri La Grande Bugia. Quella storia in cui io non sarà mai afferrato dal ghiaccio della vecchiaia, e che il mio sorriso arrogante nei confronti della maturità non si spegnerà mai e che da vecchio vivrò su una barca in primavera e d’inverno in montagna, arrampicando montagne che non conosco o in India alla ricerca dell’Illuminazione, con fedeli libri come amici, oppure diventerò un cacciatore di misteri, un cabalista alla ricerca dei segni di Dio sparsi sulla Terra …”.
“Vado a casa. Sono stanca.”
“Vuoi un passaggio?”

Hasta la Mamma! Siempre!

A Massimo voglio bene. Siamo stati in classe insieme per quindici anni. Se l’Io ha una consistenza la si percepisce solo quando si rivede questo genere di amici. Decidiamo di andare a mangiare una pizza insieme. Appuntamento alle otto e mezzo davanti a scuola, al Mamiani. Arrivo in ritardo e vedo il liceo illuminato. Mi piazzo davanti a Ciccio (che nel frattempo i pischelli afflosciati hanno ribattezzato Max …) e aspetto. Non vedendo Massimo gli mando un messaggio per dirgli che sono davanti al chiosco. Dopo pochi minuti arriva con una moto enorme. Lui che non ha mai avuto il motorino. Dice che mi stava aspettando davanti all’entrata, stranamente trafficata a quell’ora di sera. Pacche, risate e battute. Poi sopraggiunge una tipa. Coetanea, bicicletta nuova di pacca, scarpetta nabuccata, pantaloncini marrone fashion, giacchettina di pelle, collo alto color crema, capelletto parruccato, un filo di perle. Si rivolge a Massimo.
“Mi scusi ma lei è un genitore?”
“Di chi scusi? Cioè si sono un genitore ma non ho figli qui …”
“No sa è che il Mamiani è occupato e noi Genitori ci siamo organizzati per controllare … e siccome l’avevo vista indugiare a lungo davanti all’entrata”
“Guardi stia tranquilla non sono pericoloso ..” dice Massimo troppo educato, come sempre nella sua vita.
Vedo l’ebete che va via pedalando, ora rassicurata da Massimo. La sua bambina potrà fare la ninna tranquilla in palestra avvolta nel suo sacco a pelo di cachemeare, e fare, come già da qualche anno del suo seder una gioiosa macchina da guerra. Il corpo del suo bambino simpsoniano non sarà fatto a pezzi, da dare in pasto agli avvoltoi, da un gruppo di laziali avvelenati.
Penso tra me e me che stia per arrivare ferro e fuoco e che non sia un caso che le quotazioni dell’oro siano shizzate ai massimi
“Pizza da Giacomelli?”
“Ca va sans dire!”

L’eleganza del vecio

Entra nell’ufficio postale con passo lento, il viso sereno. Senza impaccio, prende il biglietto per la fila, estrae una penna, di quelle col cappuccio ed il refil che esce ruotando la punta, e si avvicina al banco. Indossa pantaloni di panno nero, leggermente più corti del dovuto, una camicia bianca ben stirata, polacchine  di nabuk scure allacciate, calze nere e una giacca di fustagno grigia. Abiti semplici, da pochi euro, comprati chissà dove, ma lindi, stirati. Belli. Sembrano solo ed unicamente suoi. Estrae dal taschino  occhiali da presbite, con  una montatura essenziale, di tartaruga, come non se ne fanno più e prende a compilare il suo modulo con calma, accompagnando la scrittura con frasi silenziose, pronunciate solo con le labbra. I capelli sono radi, bianchi, ma ben curati, certamente accuditi quotidianamente dal suo barbiere di quartiere, lo stesso da tanti anni, quello col segnale rotante fuori della bottega. Alla mano sinistra due fedi, la sua e quella di una moglie che non c’è più. Si accomoda sulla sedia accanto alla mia, e con una calligrafia in stampatello fluida, semplice e chiara continua a compilare il bollettino senza esitazioni. Ora, attende il suo turno sprofondando gli occhi sulle pagine del quotidiano gratuito di cui ha preso una copia all’entrata. Segue, a tratti, lo scandire dei numeri di chiamata sul cartello elettronico (sfilando gli occhiali ed aggrottando le sopracciglia) che a cadenze regolari segnala con un suono sinistro la progressione della coda. Poi, prontamente, arrivato il suo turno salta in piedi e con un sorriso saluta l’impiegata. Porge il bollettino e di fronte ad una perplessità dell’impiegata spiega con calma la correttezza di tutto. L’impiegata sorride rapita da tanta calma e sicurezza, annuisce e si scusa per aver avanzato dubbi sull’operazione da lui richiesta. Conclusa l’operazione, estrae un portafoglio vecchio di mille anni, scuro e pieno di carte, nel quale ripone le ricevute, saluta l’impiegata, un vicino di coda ed  esce piano con l’andatura faticosa e segnata da mille acciacchi, ma bella, fiera, sua, quella che prescinde il tempo e sfida il Tempo.
Lo vedo uscire dall’ufficio. Penso a Monica. A quando le dissi che a settanta anni avrei cominciato a bucarmi. Non l’ho più vista.

Casanduoglio per il sociale 1 – Geronzi porta la parrucca. E i Torlonia pure.

 

Il D’Annunzio che è in me torna da Parigi sempre con uno strano malessere. E’ il disagio che segue alle visite al Louvre, la frustrazione che mi deriva nel vedere quanti capolavori italiani arricchiscano il museo. Leonardo, Il Beato Angelico, Guido Reni … Le nozze di Cana del Veronese, la collezione Borghese di statue romane … Dio mio … Mi innervosisce anche un po’ l’arroganza con la quale il museo fu strappato nel 1792 al re e consegnato eternamente ad un astratto Popolo francese che in realtà è ora un enorme salsiccione di turisti semiscolarizzati, una massa informe di carne mista, proveniente da tutto il mondo, coi piedi che puzzano e che ha come scopo solo quello di farsi fotografare, con l’espressione di un tonno congelato, accanto alla Venere di Milo.
Torno a Roma, al mio sonnambulismo lucido per le vie del Salario della pausa pranzo e mi imbatto in Villa Albani che è sempre splendida, lussuosa e chiusa. Totalmente inaccessibile. La fece costruire il Cardinale Albani tra il 1746 e il 1764 su progetto di Carlo Marchionni ed era destinata, inizialmente, proprio a galleria d’arte. Il Cardinale Albani la riempi di capolavori. Ancora adesso nella Villa ci sono capolavori dell’antichità (chissà in quale stato di conservazione) come gli affreschi, risalenti alla fine del IV secolo a.C., staccati dalla tomba Francoi di Vulci, il rilievo di Antinoo dalla villa Adriana, la collezione di statue antiche un tempo al palazzo della Lungara (sono 625!), l’Hestia Giustiniani, una galleria di cento ritratti in marmo, un bassorilievo del porto di Ostia e interi bacini di fontane, tutti catalogati nel 1884 da Carlo Ludovico Visconti.
Tra i dipinti vi sono (conservate?) l’affresco del Parnaso di Anton Raphael Mengs (amico di Casanova) opere di Tintoretto, Giulio Romano, Guercino, Vanvitelli, Perugino, Pannin.
Nel 1868 la Villa, con la collezione, fu venduta ai Torlonia ed è ancora oggi loro. I Torlonia sono un “generone” romano che discende da un capostipite, tale Marin Tourlonias, che, lungi dal versare sangue sui campi di battaglia, era il cameriere del Cardinale Troiano Acquaviva D’Aragona. Beccatasi l’eredità del cardinale, il cameriere miracolato buttò scopa, strofinaccio e livrea e aprì una bottega di tessuti e di prestiti (chissà a quali condizioni?).

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Rallentamenti tra Pero e Cormano

E’ il 1977, l’Italia è prossima al rapimento Moro, divampa la guerra fredda tra Unione Sovietica e Stati Uniti, nelle strade gli estremisti di sinistra e destra si sparano in continuazione. Esce la Girella Motta, valido corollario della Fiesta Ferrero. Su GBR a mezzanotte delle tracagnotte cocotte de noantri si spogliano a mezzanotte nel programma Soft Melodie. Io, faccio la terza media. Così:
Religione: "Ha notevoli capacità intuitive ma non altrettante di sintesi. Il rendimento è buono"
Italiano "Consapevole delle sue buone capacità di intuito è dispersivo nel lavoro e poco tenace nella volontà. I componimenti sono ricchi di idee ma poco coerenti nel contenuto, sono involuti e non sempre corretti nella forma."
Storia educazione civica e Geografia "Il vivo interesse dimostrato non è accompagnato da uno studio metodico perchè l’esposizione è poco facile e chiara"
Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali "Non sempre è attento, applicazione non costante profitto non sempre sufficiente. Dovrebbe attenersi maggiormente alle materie scolastiche senza voler solo interessarsi di quello che gli piace".
Lingua straniera "Vivacissimo e molto distratto non si impegna sufficientemente. Risultati mediocri."
Educazione artistica "Disturba in continuazione le lezioni, quando si applica riesce più che sufficientemente, potrebbe fare molto di più"
Valutazione finale "E’ un ragazzo che ha buone capacità di intuito, ma è dispersivo e discontinuo. Impegnandosi più seriamente otterrebbe risultati più concreti. Può frequentare qualsiasi tipo di scuola".
Ma allora la domanda è: quando mi deciderò a sottomettermi. Ma soprattutto. Ne vale la pena?

P.S.: ho scoperto il segreto degli spaghetti cacio e pepe: prelevare, con un cucchiaio, un poco di acqua di cottura prima di scolare e con essa mescolare il pecorino, il pepe macinato fresco e due cucchiai di olio extra vergine nel piatto o nella zuppiera, in modo da ottenere una cremina. Poi si buttano dentro gli spaghetti scolati (al dente). Annaffiare il tutto con un umile ma onesto Trebbiano d’Abruzzo ghiacciato. A volte un mio cotè gay mi spinge a mette redella menta fresca, spezzettata rigorosamente con le mani, sopra gli spaghetti. Ma sono vizietti che tendo a reprimere. Cin!

Maschilisti

"Chi crede che una donna non sia in grado di rendere felice un uomo ventiquattro ore su ventiquattro non ha mai conosciuto una donna come Enrichetta. Tra l’altro, la gioia che mi riempiva il cuore era assai più grande quando parlavo con lei durante il giorno che quando la tenevo tra le mie braccia di notte. Enrichetta aveva letto parecchio, aveva buon gusto, possedeva una preziosa capacità di giudicare e, senz’essere erudita, ragionava con un rigore da matematico. Non avendo nessuna pretesa di essere intelligente, non diceva niente di elevato senza accompagnarlo con un sorriso che, dando a ciò che diceva un’apparenza di frivolezza, metteva ogni cosa a portata di tutti. Così dava lezione di intelligenza a chi non ne aveva e che in cambio la adorava. Una donna bella ma stupida dà ad un amante solo il godimento fisico della sua bellezza. Una donna brutta ma intelligente, invece, fa innamorare con la sua intelligenza un uomo al punto da non lasciargli altro da desiderare. Cosa dovevo dire io che possedevo Enrichetta, bella, intelligente e colta? La mia felicità era così grande che non riuscivo a capacitarmene."

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